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Opere di Bernini, Borromini e Caravaggio a Roma

 

 

Bernini

 

Gianlorenzo Bernini (Napoli 1598-Roma 1680). Si trasferì a Roma con il padre Pietro quando era ancora molto giovane. Bernini è il rappresentante del barocco a Roma.
Le opere :

  • Il David, del 1623, Galleria Borghese. Si pensa che il viso del David sia il suo autoritratto. Gianlorenzo Bernini coglie esattamente il preciso istante mentre David sta scagliando il dardo con la fionda.
     
  • Apollo e Dafne 1622-1624 Galleria Borghese. Qui Gianlorenzo Bernini Rappresenta Apollo mentre insegue Dafne la quale, per sottrarsi a lui si trasforma in albero di alloro. Il tutto è molto elegante e armonico.
     
  • Baldacchino della Basilica di S.Pietro, 1624-1633, Commissionato da  papa Urbano VIII Barberini.  E' costituito da 4 colonne tortili in bronzo. Nei 4 pilastri che sorreggono la cupola, Bernini colloca le statue di S Veronica , San Longino, San Andrea e S. Elena. Nelle logge sopra le nicchie inserisce coppie di colonne tortili. Sono quelle originali colonne che decoravano l’altare maggiore della primitiva chiesa del IV sec.
     
  • Monumento funebre di papa Urbano VIII Barberini  - Basilica S. Pietro. 1642-1647, in marmo e bronzo. Qui il Bernini prende spunto da Michelangelo e da Guglielmo della Porta. Le figure allegoriche sono in piedi, entrambe inclinate verso il centro in modo da creare una spinta verso l'alto. Uno scheletro alato scrive in oro il nome di Urbano VIII.
     
  • Estasi di Santa Teresa, 1644-1651, S. Maria della Vittoria nella Cappella Cornaro. Rappresenta la visione di S.Teresa mentre guarda l’ angelo che la trafigge con una freccia. Da notare la teatralità della scena, i raggi che partono dalla cupola danno il senso del divino, la scena è leggermente rialzata, la sensualità della santa sembra terrena invece che celeste. Meravigliosa è la scena laterale, da un palchetto infatti si affaccia la famiglia Cornaro che assiste al prodigio.
     
  • La fontana dei 4 fiumi, 1647- 1651, P. Navona. Voluta da papa Innocenzo X Pamphilji per ornare la piazza dove già era il palazzo di famiglia. Lo stemma della famiglia Pamphilji è una colomba bianca con un ramo di ulivo. Al centro è un obelisco dell’età di Domiziano (I° sec.), intorno una scogliera naturale con al centro una grotta. Sugli scogli sono sedute 4 statue giganti che corrispondono a 4 fiumi, simbolo a loro volta dei 4 continenti allora conosciuti: Danubio (Europa), Nilo (Africa), Gange (Asia), Rio de la Plata (America).
     
  • La fontana del Tritone, 1643, Roma, P.za Barberini. La statua del Tritone seduto su un’enorme conchiglia tenuta da 4 delfini, tiene in mano (vicino alla bocca) una conchiglia da cui spruzza acqua. In basso è lo stemma della famiglia Barberini ( 3 api).
     
  • Il colonnato di San Pietro,1657- 1665. Roma. L’opera più importante del Bernini. Il Colonnato è a pianta ellittica, così da rappresentare l’abbraccio della chiesa a tutta la cristianità.
     
  • La Cattedra di San Pietro, 1656-1666, nella Basilica di San Pietro, in marmo, bronzo e stucco dorato. La cattedra è un seggio ligneo. Bernini la riveste con un maestoso trono in bronzo e lo colloca al centro dell’abside, è sostenuto da 4 enormi statue che rappresentano i 4 Dottori della chiesa (chiesa greca e latina) e intorno da angeli. Sopra il trono la luce entra da una finestra ovale, con lo Spirito Santo al centro,  decorata  da una raggiera dorata.

     
  • La scala regia, 1662- 1666, Vaticano, La monumentalità della scala ha un significato di ascensione. Un meraviglioso effetto prospettico è dato dal doppio colonnato ionico. La scala esalta la grandezza della chiesa cattolica perché segna l’accesso al palazzo Vaticano.
     
  • Sant’Andrea al Quirinale, 1658- 1661, Pianta a forma ellittica. La forma geometrica dell’ ellisse nasce dal cerchio che è la forma geometrica perfetta. La luce proviene da fonti nascoste, come un palcoscenico. Lo spazio si espande nelle nicchie radiali divise da pilastri e dalla cupola.
  •  Statua di Costantino, 1654- 1670,  è nell’ atrio della basilica di San Pietro.
     
  • La Beata Ludovica Albertoni, 1671- 1674, in marmo e alabastro nella chiesa di San francesco a Ripa, quartiere Trastevere. La rappresentazione della santa è ambigua, i suoi spasimi in punto di morte ricordano un’eccitazione erotica. Come nell’Estasi di Santa Teresa (nella chiesa di Santa Maria della vittoria), la statua è caratterizzata da un grande plasticismo delle forme e dalla morbidezza del marmo.

 

 

 

Borromini

 

Francesco Borromini (1599-1667) faticò molto per affermare il suo talento come architetto. Nasce presso il lago di Lugano da figlio e nipote d’arte, assorbe la tradizione degli abili capimastri e scalpellini ticinesi, architetti e scultori.

Giunto a Roma nel 1620, Francesco studiò l’architettura classica. Dell’Antico lo attrassero le pareti curvilinee e le superfici continue ininterrotte della Domus Aurea a della Villa Adriana a Tivoli. Ottenne i risultati migliori creando geniali soluzioni di linee continue curve, concave e convesse. Dall’arte bizantina studiò l’uso della luce per ottenere effetti suggestivi. Elementi gotici furono da lui usati con un’insolita funzione decorativa. Borromini studiò anche l’architettura di Brunelleschi e di Michelangelo. L’effetto raggiunto, in simbiosi tra interno ed esterno, è ottenuto grazie all’uso di materiali poveri come il laterizio, il travertino, lo stucco, l’intonaco.

 

Nella chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, (1642- 1660), Borromini dà l’impressione di vincere il peso di gravità col dinamismo ascensionale verso il cielo, in un ritmo frenetico animato dalla luce, realizzando un vero inno alla Sapienza Divina.

Geniale fu la sua inventiva nel ricavare una pianta dall’incrocio di due triangoli, ottenendo nel triangolo una metafora della Trinità e nell’esagono quella della Divina Sapienza. Un ulteriore rimando è all’ape dello stemma del papa Urbano VIII Barberini.

La lanterna sormontata dalla croce in cima alla guglia sembra  formare una colonna di fuoco, che, come il percorso della conoscenza filosofica che corre verso l’alto alla conquista del sapere, culmina infatti con una corona di fiamme rappresentante la Carità (inscindibile dalla Sapienza) attuata da sant’Ivo e incarnata dal papa, vicario di Cristo scelto dallo Spirito Santo (= Sapienza Divina/Carità).

La decorazione dell’elica sul cupolino della lanterna, imita infatti le gemme e le perle  della  tiara papale con tre corone sovrapposte, simbolo della triplice autorità papale in quanto padre dei sovrani e monarca, rettore dell’orbe e vicario di Cristo.

Anche nella decorazione all’interno della cupola di Sant’Ivo, Borromini esaltò i pontefici mediante gli elementi araldici del loro casato: Alessandro VII con i monti e la stella dei Chigi, Innocenzo X con l’emblema Pamphilj della colomba con ramoscello d’ulivo.

Perfino nei minimi dettagli decorativi Borromini racchiuse il simbolismo cristiano, con particolari riferibili al martirio dei santi Fortunato e Alessandro, titolari della chiesa insieme a S. Ivo: corone e ghirlande d’alloro come simbolo d’immortalità, foglie di palma per il trionfo sulla morte, gigli per le anime pure e beate. La diffusione della grazia e della sapienza divina è inoltre insita nella collocazione dei serafini (simboli di Carità) alla sommità della cupola e sopra le finestre dei cherubini (simboli di Sapienza).

Francesco Borromini è descritto dalle fonti vestito sempre di nero con parrucca, con un amore smodato per il suo lavoro, intransigente e in un perenne atteggiamento di sfida. Dalla madre Borromini ereditò una certa tendenza alla depressione. Questo carattere difficile gli procurò con l’andare del tempo problemi con i committenti, molte amarezze e delusioni.

Molto dolore gli fu provocato  dalle modifiche apportate a molti suoi progetti o l’impossibilità di realizzarli secondo la propria visione artistica.

 

Nella galleria di palazzo Spada, (1652- 1655), Borromini si esercitò in una bizzarra fuga di colonne deformate nella fuga prospettica (di appena cm 862), che lasciava apparire, nelle rapide sequenze di luce, le proporzioni della piccola statua sul fondo come, in realtà, non erano.

Con l’acuirsi del suo disagio, il declino divenne inarrestabile. Aggravato dall’ isolamento dei committenti e dalla personalità sempre più fragile, Francesco morì suicida nel 1667.

Soltanto pochi grandi nella storia dell’architettura trassero ispirazione dalle sue idee per elaborare opere altrettanto geniali.

Lo spirito borrominiano era però così universale da sopravvivere per secoli dopo la sua morte: una trama lega indissolubilmente lo sviluppo elicoidale di Sant’Ivo alle cupole torinesi di Guarino Guarini fino al Guggenheim Museum newyorkese di Wright, passando per il progetto del russo Tatlin per la Terza Internazionale del 1919. A riprova che Borromini è ancora un rivoluzionario.

 

 

 

Caravaggio

 

La Roma in cui Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio arriva verso la fine del 1592, è una città che da poco tempo ha assunto l’aspetto di capitale europea grazie ai grandiosi interventi urbanistici voluti da Sisto V, e realizzati dal suo architetto di fiducia Domenico Fontana.

Seguendo la consuetudine del tempo, Caravaggio frequenta la comunità lombarda che si riuniva attorno alla confraternita di Sant’Ambrogio al Corso insieme agli artigiani, scalpellini e architetti originari di Brescia e Bergamo che si era insediata nei pressi di palazzo Colonna,.

Grazie forse ai buoni contatti  dello zio prete, il giovane Caravaggio trova ospitalità presso monsignor Pandolfo Pucci, maestro di casa della sorella di Sisto V, Camilla Peretti.

Per monsignor Pucci Caravaggio dipinge copie di quadri devozionali in cambio di vitto e alloggio. Dopo qualche mese Caravaggio va a stare presso un certo Tarquinio, proprietario di due osterie nel quartiere. Qui inizia a dipingere quadri «per vendere», di medie dimensioni facili da smerciare con soggetti di ogni genere.
Dall’osteria di Tarquinio, Caravaggio passa alla bottega di un pittore siciliano di nome Lorenzo.  Qui Caravaggio si dedica ai ritratti, che  testimoniano sia  la sua abilità  nel dipingere “dal naturale” quanto l’esigenza di avere sempre un modello da ritrarre. Caravaggio frequenta poi la bottega del pittore senese Gramatica, ritrattista già di un certo nome, dove dipinge le sue prime composizioni a mezze figure, sperimentando l’uso di forti contrasti di luce e di ombra.

Proseguendo nella sua ascesa nell’ambiente artistico romano, Caravaggio riesce  a entrare nella bottega del Cavalier d’Arpino che era tra gli artisti preferiti da papa Clemente VIII  Aldobrandini.

Cavalier d’Arpino  domina la scena romana insieme a Federico Zuccari e al Pomarancio. Quando  Caravaggio entra nella sua bottega, vi rimarrà per otto mesi. Il Cavalier d’Arpino aveva appena terminato gli affreschi sulla volta della cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi. Nel 1593 Caravaggio  realizza i progetti e i disegni elaborati dal Cavalier d’Arpino, il quale lo mette a «dipinger fiori e frutti».
La
collaborazione  col Cavalier d’Arpino termina dopo  un misterioso incidente, Caravaggio viene infatti colpito da un  calcio di un cavallo che gli fa gonfiare una gamba. Uscito dall’ospedale Caravaggio non farà più ritorno alla bottega.

Trovata ospitalità nel palazzo di monsignor Fantin Petrignani in Campo Marzio, Caravaggio si dedica nuovamente a dipingere quadri “per vendere”, tele da cavalletto. Tra le opere di questo periodo forse è il Ragazzo con canestro di frutta e il cosiddetto Bacchino malato, che rappresenta con ogni probabilità il primo dei suoi autoritratti.  

I magri guadagni non gli permettono il lusso di far posare dei modelli per le sue composizioni e Caravaggio si affida allo specchio, ritraendosi come un giovane Bacco coronato d’edera, con un grappolo d’uva in mano, mentre sorride malinconico.  Gli studiosi affermano che il colorito terreo e le labbra livide del giovane ritratto potrebbero essere i sintomi della convalescenza del pittore da poco uscito dall’ospedale.

Il cardinale Francesco Maria Del Monte rimane favorevolmente impressionato dai quadri del Caravaggio e non si limita ad acquistarne alcuni ma gli offre ospitalità nella sua casa e gli garantisce uno stipendio mensile. L’incontro con il cardinale - personaggio di spicco della curia, fiduciario del granduca di Toscana ed esponente della fazione filofrancese - risulta decisivo per l’affermazione del Caravaggio, permettendogli di farsi conoscere dai facoltosi e raffinati collezionisti dell’epoca. Per Del Monte il pittore realizza alcuni tra i suoi capolavori, tra cui  La buona ventura capitolina, I bari, il Suonatore di liuto (oggi in collezione privata), il Concerto di giovani, la Santa Caterina d'Alessandria, il San Giovanni Battista capitolino, un San Francesco in estasi. A queste opere vanno aggiunte il dipinto murale che decora la volta di una stanza nel casino Boncompagni Ludovisi e le due opere conservate nella Galleria degli Uffizi: lo scudo da parata con la Medusa, donata dal cardinale al granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici, come forse anche il Bacco.

La permanenza fino al 1600 presso il colto cardinale Del Monte - raffinato appassionato di musica, scienza e arte - permette a Caravaggio di ampliare i suoi interessi e di applicarsi allo studio della rappresentazione dei corpi plasmati dalla luce e all’approfondimento delle regole della prospettiva. 

Dall’analisi delle opere di questo periodo è chiaro che Caravaggio  mette a punto un suo stile personale, dimostrandosi sempre più insofferente nei confronti delle convenzioni accademiche. Il suo interesse per la rappresentazione della realtà lo spinge ad accogliere la lezione dei pittori nordici, e ad introdurre nelle sue composizioni delle nature morte con vasi, fiori e frutta, raffigurati con la stessa precisione con cui ritrae le figure umane.

Sebbene non sia corretto affermare che il Canestro di frutta sia la prima natura morta della pittura italiana, è certo che con Caravaggio questo genere acquista la stessa dignità del ritratto o della pittura di storia.
Il nome di Caravaggio è ormai ben conosciuto nella cerchia degli intenditori d’arte e le commissioni si moltiplicano.

Tra il 1594 e il 1599 Merisi realizza il Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena penitente,  alla collezione Doria Pamphilj.

Il banchiere Costa commissiona la Giuditta che decapita Oloferne, il San Francesco in estasi e il quadro che raffigura Marta che rimprovera Maddalena per la sua vanità.

Il nobile Ciriaco Mattei richiede a Caravaggio un San Giovanni Battista. Con queste opere l’artista, come dice Bellori, comincia «ad ingagliardire gli oscuri», sostituendo gradualmente i colori chiari e luminosi dei primi quadri con partiti di luce e di ombre sempre più violenti e drammatici.

 

 

 


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