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Roma sotterranea

 

Piazza Navona e lo stadio di Domiziano L’excubitorium della VII corte dei Vigili in Trastevere
L’insula di San Paolo alla Regola Porta Asinaria ed il camminamento delle Mura Aureliane
Il Monte Testaccio L’Insula dell’Arcoeli
I Sepolcri di Via Statilia Il Ninfeo di Via degli Annibaldi
Il Mitreo del Circo Massimo L'Auditorium di Mecenate
Il Ludus Magnus, la celebre palestra dei gladiatori del Colosseo Il Colombario di Pomponio Hylas
L'acquedotto Vergine in Via del Nazareno Catacombe di Roma
Ipogeo degli Aureli  

 

 

Piazza Navona e lo stadio di Domiziano

Piazza Navona costituisce uno splendido esempio di continuità urbanistica a Roma: essa occupa infatti la pista dello Stadio fatto costruire da Domiziano forse già prima dell'86 d.C., per servire ai giochi atletici di origine greca, gli agones, da lui particolarmente apprezzati, viceversa poco amati dai Romani, che preferivano spettacoli violenti e sanguinosi come i munera e le venationes. Lo stadio misurava in lunghezza circa m. 275 per m. 106 di larghezza: l'esterno era costituito da arcate poggianti su pilastri di travertino con semicolonne ioniche nel primo ordine, corinzie nel secondo ordine. Due ingressi principali si aprivano al centro dei lati lunghi, un altro era al centro del lato curvo, preceduto da un portico con colonne di marmo portasanta. Questo settore, scoperto negli anni 1936-1938, costituisce la parte meglio conservata dello stadio, e viene visitato integralmente nel corso della nostra escursione con permesso speciale della Soprintendenza. La cavea dello stadio comprendeva due maeniana (settori di gradini) sovrapposti: da un calcolo effettuato in base alla lunghezza delle gradinate si è potuti giungere alla cifra di 30.000 spettatori, che coincide perfettamente con la capienza tramandataci dai Cataloghi Regionari. Dopo il suo abbandono, lo stadio accolse molto presto una piccola cappella dedicata a Sant'Agnese, qui martirizzata nel 304 d.C. Nel corso del medioevo la pista dello stadio rimase deserta e per lo più coltivata con orti e campicelli; nella seconda metà del XV secolo, lo spostamento del mercato dall'Aracoeli a Piazza Navona determinò quell'esplosione di vita che ancora oggi contraddistingue questa rispetto a tutte le altre piazze di Roma.

 

 




Stadio di Domiziano - Piazza Navona

www.stadiodomiziano.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’excubitorium della VII corte dei Vigili in Trastevere

L'edificio fu portato alla luce nel 1866, durante uno dei numerosi scavi ottocenteschi intrapresi per il recupero di opere d'arte e che ebbe come riferimento un muro antico emergente nel giardino di una casa privata sulla piazza Monte di Fiore, di fronte alla piazza di San Crisogono, entrambe scomparse nel più recente riassetto urbanistico del quartiere. Fin dalle prime fasi dello scavo, apparve subito chiara la destinazione degli ambienti riportati alla luce in base al gran numero di graffiti presenti sulle pareti, ove era ripetutamente citata la VII Coorte dei Vigili. In particolare l'edificio venne identificato con un excubitorium o corpo di guardia, ricavato, verso la fine del II secolo d.C., all'interno di una casa privata, comprata o affittata dalla pubblica amministrazione. Il monumento si compone di una grande aula, con al centro una vasca di forma esagonale a lati concavi. Di fronte ad essa, sulla parete sud si apre un'elegante porta ad arco, che introduce nel larario, una sorta di cappella del genio tutelare dei Vigili, il Genius Excubitorii ricordato dai numerosi graffiti. Nella stanza situata ad ovest con il pavimento in cocciopesto interrotto al centro da un chiusino si è voluto vedere un bagno, mentre incerta rimane la destinazione dei due vani contigui e tra loro comunicanti sul lato opposto. Segue a nord un angusto ambulacro e un vano con un dolio interrato, recipiente utilizzato per conservare grano ,legumi , olio.

 

 

L’insula di San Paolo alla Regola

Il sito archeologico di S. Paolo alla Regola è ubicato sotto il cinquecentesco Palazzo degli Specchi, in Via di San Paolo alla Regola n. 16 (Rione VII Regola), corrispondente all’antico percorso stradale che collegava il Circo Flaminio con la zona del Campo Marzio.
Sotto Domiziano l’area fu occupata dagli Horrea Vespasiani, un complesso di magazzini che si sviluppavano lungo il fiume tra le odierne Via dei Pettinari e Via Arenula.
In età severiana la zona subì numerose modifiche: accanto e sopra ai magazzini vennero costruite insulae di quattro piani di altezza, successivamente distrutte da un vasto incendio.
Sotto Costantino venne interrato un piano delle palazzine per proteggere gli edifici dalle esondazioni del Tevere; dopo un lungo periodo d'uso gli edifici vennero però abbandonati.
L'insula di S. Paolo alla Regola è costituita, nel secondo livello sottosuolo posto a 8 metri di profondità dalla quota della strada moderna, da due grandi Horrea domizianei, in opera laterizia e con volte a botte. Il primo livello sottosuolo dell’insula consta di una serie di magazzini di età severiana che si distribuiscono intorno ad un cortile; spicca una robusta muratura moderna di rinforzo alle volte cinquecentesche sulle quali si è impostato il sovrastante Palazzo degli Specchi.
Gli altri due ambienti pavimentati a mosaico costituiscono il primo piano del palazzetto, il cui piano terra era occupato dai magazzini domizianei; i mosaici bianchi e neri a disegno geometrico sono di età severiana.

 

 

Porta Asinaria ed il camminamento delle Mura Aureliane

Porta Asinaria è la più bella e meglio conservata tra le porte che si aprono nella cinta muraria fatta costruire dall'imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo d.C. Al tempo di Onorio (inizi del V secolo) il semplice varco venne trasformato in una fortezza vera e propria, con le due alte torri circolari a quattro piani. Ambedue le torri erano collegate tra loro da due gallerie coperte, sopra le quali si svolgeva il quotidiano giro di ronda. La porta era attraversata da una via che portava lo stesso nome Asinaria, e che fece molto lavorare la fantasia dei pellegrini e dei visitatori del trecento e del quattrocento. Al di là delle numerose leggende sorte intorno al nome della porta (e della via), sembra più attendibile la derivazione dal nome del console Asinio Pollione, che sul finire del periodo repubblicano  fece costruire la strada in questione.

 

 

Il Monte Testaccio

Il nome del Monte Testaccio deriva dal latino testa, ovvero coccio, con riferimento al materiale con cui la collina artificiale è stata costruita, cioè con le anfore scartate dai vicini Horrea dell'annona. I detriti fittili sono tenuti insieme da un legante a base di malta e sabbia, mentre alla sommità un leggero strato di terra ha consentito lo sviluppo della vegetazione, che conferisce alla collina l'aspetto di rilievo naturale. Ha un perimetro di 700 metri, un'altezza di 36 metri ed una superficie complessiva di circa 22.000 metri quadrati. Le datazioni consolari ricavabili dai bolli delle anfore consentono di datare lo scarico in un periodo compreso tra il 140 d.C. fino alla metà del III secolo d.C. La maggior parte dei frammenti fittili è da ricondurre ad anfore olearie provenienti dalla Betica, provincia romana corrispondente alla odierna Andalusia, mentre una minima parte dei frammenti è riconducibile ad anfore olearie di provenienza africana.

 

 

L’Insula dell’Arcoeli

Tra i monumenti scoperti alle pendici della collina del Campidoglio, il più interessante è senz’altro la grande Insula (condominio a più piani) ai piedi della scalinata dell’Aracoeli. L’edificio, addossato alla parete rocciosa del colle capitolino, comprende un piano terreno, un mezzanino, quattro piani articolati in minuscoli appartamenti e stanze, all’interno delle quali la vita doveva essere molto scomoda ed angusta. L’insula risale al II secolo d.C., e rappresenta molto bene l’edilizia intensiva a scopo abitativo dell’epoca imperiale. Interi quartieri erano composti di condomini di questo genere, dove i plebei vivevano in pessime condizioni igieniche ed ambientali, continuamente sottoposti al rischio di crolli ed incendi. La visita all'insula dell'Aracoeli è un'ottima occasione per avere un quadro molto chiaro della vita quotidiana a Roma nell’epoca imperiale.

 

 

I Sepolcri di Via Statilia

La moderna Via Statilia corrisponde al tracciato dell'antica Via Caelimontana: su questo percorso erano collocati numerosi sepolcreti di varie epoche e di differenti forme architettoniche. Il complesso meglio conservato (e visitabile) è costituito da una serie di quattro sepolcri allineati scoperti all'inizio del XX secolo, pesantemente restaurati.  Il primo in ordine topografico è il sepolcro del liberto Publio Quinzio, di professione libraio, della moglie di questi e della concubina: è collocabile cronologicamente intorno al 100 a.C. ed è costituito da un prospetto a blocchi di tufo nel quale si apre una porta che immette all'interno della camera funeraria, in parte scavata nel banco roccioso. Il secondo sepolcro, appartenuto a liberti delle gentes Clodia, Marcia ed Annia, è coevo al precedente ed è costituito da due celle alle quali si accede attraverso due porticine, inquadrate esternamente da un prospetto con basamento in tufo, su cui sono collocati i ritratti dei defunti scolpiti a bassorilievo. Il terzo sepolcro è del tipo a colombario; molto mal conservato, è di poco successivo ai primi due sepolcri. Il quarto complesso funerario, più recente di tutti (metà del I secolo a.C.), presenta una forma ad ara; era di proprietà di due Aulii Caesonii e di una non altrimenti nota Telgennia.

 

 

Il Ninfeo di Via degli Annibaldi

Il Ninfeo di Via degli Annibaldi fu scoperto nel 1895 durante i lavori di apertura della via omonima, ed è oggi tagliato a metà dal muraglione di sostegno della strada. Originariamente aveva una forma semiellittica con una vasca al centro, ed era ornato da nicchie, quattro delle quali sono tuttora visibili. Tutta la parete curva è ornata con un mosaico in stile volutamente rustico; le lesene sono ornate da teorie di conchiglie piccolissime, mentre altre più grandi sono incastrate al centro. Altre decorazioni finissime sono in madreperla e smalto, con frammenti di pietra pomice e brecce. Il monumento può essere datato tra la fine del periodo repubblicano e l'inizio del principato augusteo.

 

 

 

Il Mitreo del Circo Massimo

Nel 1931 furono rinvenuti nel corso di lavori in via dell’Ara Massima, i resti di un edificio in laterizi di epoca imperiale che si affacciava verso i carceres del Circo Massimo. Si trattava di un piccolo luogo di culto dedicato al dio di origine orientale Mitra, che era in effetti raffigurato in un rilievo insieme alle altre divinità Cautes e Cautopates, Sol, Luna, il Corvo. L’autore della dedica del santuario fu un certo Tiberius Claudius Hermes, che in seguito ad un voto fatto, fece costruire a sue spese il rilievo con l’immagine del dio Mitra.

 

 

L'Auditorium di Mecenate

L'Auditorium di Mecenate fu scoperto nel 1874, durante l'apertura di Via Merulana e di Largo Leopardi. L'aula absidata riportata alla luce faceva parte di un complesso edilizio molto più ampio, situato a cavallo delle Mura Serviane, che fu demolito. Si conservò soltanto il cosiddetto Auditorium, una grande aula con abside lunga 24 metri, suddivisa in un vestibolo, l'aula vera e propria, un'esedra a gradini e una doppia rampa di accesso a sud-ovest, larga circa 2 metri. Il complesso fu realizzato interamente in opus reticulatum di fattura molto buona e dunque piuttosto antico. La decorazione pittorica, ben conservata al momento della scoperta, è oggi piuttosto evanide. Le pareti sono dipinte in rosso; al di sopra delle nicchie della grande aula si sviluppa un fregio teriomorfo con figure di animali; l'interno delle nicchie era ornato con rappresentazioni realistiche di giardini. L'esedra è articolata in sette gradini molto stretti, originariamente coperti di lastre di cipollino, delle quali restano alcuni frammenti. La parte più alta della grande aula e dell'esedra erano decorate con ampie campiture e sottili candelabri con motivi vegetali. L'Auditorium di Mecenate si può datare nella tarda Età Repubblicana, mentre il ciclo pittorico di III stile appartiene alla piena Età Augustea. L'ambiente va certamente identificato con un settore della Villa di Mecenate sull’Esquilino.

 

 

Il Ludus Magnus, la celebre palestra dei gladiatori del Colosseo

Subito ad est del Colosseo, tra via Labicana e via di San Giovanni in Laterano, il Ludus Magnus è la principale palestra dei gladiatori di Roma. Costruito in contemporanea con l’anfiteatro Flavio, rappresenta solo uno dei numerosi edifici di servizio di Roma funzionali all’organizzazione dei giochi circensi: altri edifici erano, ad esempio, i Castra Misenatium, dove vivevano i marinai della flotta di Capo Miseno addetti alle manovre del velarium del Colosseo, l’Armamentarium, ovvero il deposito delle armi gladiatorie, il Saniarium, una sorta di rudimentale pronto soccorso, lo Spoliarium, dove venivano spogliati i corpi dei gladiatori morti, il Summum Choragium, dove si custodivano le macchine sceniche,ecc. Il Ludus Magnus era costituito da un cortile in opera laterizia di forma quadrangolare, racchiudente una piccola arena di forma ellittica, del tutto simile all’arena del Colosseo anche se di dimensioni più ridotte, utilizzata per le esercitazioni dei gladiatori. La piccola arena era posta in comunicazione con l’arena del Colosseo da un passaggio sotterraneo, che permetteva ai gladiatori di passare direttamente nel Colosseo per combattere, evitando gli assembramenti delle pericolose tifoserie che sostavano intorno all’anfiteatro.

 

 

Il Colombario di Pomponio Hylas

Il colombario di Pomponio Hylas è situato all'interno del Parco degli Scipioni, tra la via Latina e la via Appia. Una ripida scala immette in un piccolo sacello funerario, fondato in età giulio-claudia ma frequentato fino all'epoca di Antonino Pio, con modifiche nella decorazione risalenti all'età flavia. Di fronte alla scala è uno dei più antichi mosaici parietali rinvenuti in Italia, realizzato con tessere di vetro su fondo blu e contornato da una fila di conchiglie, che conserva il nome dei due coniugi, Pomponio Hylas e Pomponia Vitalinis, le cui ceneri sono raccolte in urne poste nella nicchia al di sopra del mosaico. Il sacello è incantevole per la preziosità della decorazione a policromia vivace, che ricopre tutte le pareti, movimentate da edicole con frontoni e fregi in stucco con personaggi mitologici. Il sacello ha pianta rettangolare con copertura a volta e abside sul fondo, con una splendida edicola a tempietto. L'edicola, come apprendiamo dalle epigrafi, contiene le ceneri dei fondatori del sepolcro, Granius Nestor e Vinileia Hedone, rappresentati anche in pittura sulla parete di fondo. Sul timpano si può osservare Dioniso con la pelle di cervo. Sulla volta, un affresco dai colori vivaci riproduce la danza di amorini ed uccelli fra tralci di Vite, in una cornice di pace e serenità.

 

 

L'acquedotto Vergine in Via del Nazareno

I resti architettonici in Via del Nazareno costituiscono il tratto più importante ancora visibile del percorso urbano dell'acquedotto Vergine. Costruito per volere di Agrippa nel 19 a.C., dalla sorgente, localizzata presso il casale di Salone al Km. 10.500 della Via Collatina, l'acquedotto entrava all'interno delle mura urbane all'altezza del Muro Torto e terminava con una mostra monumentale nelle terme di Agrippa. Oggi sono ancora alimentate dal medesimo acquedotto la fontana di Trevi e le fontane di Piazza Navona. All'altezza dell'attuale Piazza di Spagna l'acquedotto, fino a quel punto sotterraneo, usciva sopraterra e continuava su arcate sopraelevate delle quali sono oggi visibili, oltre ai resti di Via del Nazareno, quelli in Via del Bufalo. Il tratto in Via del Nazareno è costituito da un fornice, costruito per volere di Claudio nel 46 a.C. a cavallo di un'antica strada della regio VII: i pilastri e l'arcata sono costituiti da un elemento a bugnato realizzato con grossi blocchi di peperino mentre la cornice, ormai perduta, doveva essere di travertino. L'iscrizione dedicatoria, che attribuisce a Claudio i lavori di costruzione, è ancora oggi ben visibile su ambedue i lati della struttura. Quando l'imperatore Adriano restaurò l'intero percorso dell'acquedotto, l'arcata del Nazareno venne rinforzata con un rivestimento in muratura ed ancora, in epoca più tarda, il condotto venne rialzato di oltre 1 metro rispetto al piano originario.

 

 

Catacombe di Roma

Le catacombe sono antiche aree cimiteriali sotterranee ebraiche e cristiane. Erano solitamente scavate nel tufo al di fuori dell'antica cinta muraria della città.
Le catacombe a Roma sono formate da chilometri di gallerie e passaggi sotterranei che sembrano dei veri e propri labirinti.

 

Sui muri di questo intricato sistema di gallerie già dal primo secolo dopo Cristo, vennero scavate nicchie rettangolari, chiamate loculi, di varie dimensioni. Esse potevano contenere un solo cadavere, ma spesso contenevano i corpi di due e talvolta più persone.
I cristiani v
enivano avvolti in un lenzuolo o sindone. I loculi venivano chiusi con lastre di marmo o con tegole fissate con malta. Sulla lastra veniva scritto il nome del defunto, ed era spesso decorata con un simbolo cristiano o con l'augurio di pace nel cielo. Era usanza anche quella di mettere delle lucernette ad olio o vasetti con profumi accanto alle tombe.

Le tombe davano l'idea di un vasto dormitorio, chiamato cimitero, termine di origine greca che significa "luogo di riposo". In questo modo i cristiani volevano affermare la loro fede nella risurrezione dei corpi.

 

Le più famose catacombe a Roma:

 

Catacombe di Domitilla, 00147 - via delle Sette Chiese, 282 / 280 - tel. 065110342 / 065133956 - fax 065135461 (chiuse il martedi)

Catacombe di S. Sebastiano, 00179 - Via Appia Antica, 136 - tel. 06 788 7035 fax 067843745 (chiuse la domenica)

Catacombe di S. Callisto, 00179 - Via Appia Antica, 126 - tel. 06 513 01 51 / 06 513 01 580 - fax 06 513 01 567 (chiuse il mercoledi)

 

 

 

Ipogeo degli Aureli

L’ipogeo degli Aureli (detto anche di Aurelio Felicissimo) è una catacomba di Roma, posta sull’antica via Labicana, nell’attuale rione Esquilino. Il cimitero fu scoperto per caso durante i lavori per la costruzione di un garage nell'autunno del 1919, l'ipogeo degli Aureli, è ricco di affreschi che ne adornano le pareti. I recenti restauri hanno restituito i colori originali, portando alla luce anche importanti dettagli, che hanno però, rimesso in discussione le vari ipotesi finora formulate, dai vari studiosi, che per quasi un secolo, hanno cercato invano di svelare il significato delle pitture. Gli ambienti sono affrescati con scene di difficile interpretazione ed enigmatiche, databili intorno al 230. L’ipogeo si presenta su due piani, il piano superiore, composto da una sala che in origine era semi-ipogea (costruzione sotterranea) e di cui resta solo la parte inferiore, cinque metri sotto, il piano inferiore, composto da due ambienti speculari e completamente ipogei. Con i suoi tre ambienti affrescati, l'ipogeo degli Aureli è uno dei monumenti più enigmatici di Roma, i decori, infatti, si prestano a varie interpretazioni, che lo attribuiscono ora al cristianesimo ufficiale, ora a varie sette eretiche, oppure alla tematica filosofica, o ancora al paganesimo puro.

 

 


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